Da giorni la capitale svedese si trova in emergenza per il crescente moto di protesta che ha coinvolto giovani, immigrati e forze dell'ordine. Sono decine le automobili bruciate e le proprietà danneggiate.
La causa principale che ha scatenato la rivolta sembra essere l'uccisione da parte della polizia di un sessantanovenne armato di machete nel sobborgo di Husby.
Husby è un quartiere povero di Stoccolma, caratterizzato da un elevato tasso di immigrazione e abitato in prevalenza da turchi e somali.
Da domenica scorsa, qualche giorno dopo l'uccisione dell'uomo, la città è stata messa a ferro e fuoco da questa ondata di delinquenza e inciviltà, contro la quale la polizia è stata costretta a rispondere in modo duro.
Nei confronti delle forze dell'ordine è stata mossa allora la critica di brutalità e razzismo.
Molti, guardando i fatti che stanno accadendo nel paese, sostengono che questa sia la normale conseguenza di un sistema di welfare state ormai in crisi a causa dell'invecchiamento della popolazione, le ondate migratorie e un meccanismo di sussidi ormai insostenibile.
Ad avvalorare questa tesi c'è chi afferma che gli immigrati formino ad oggi il 15% della popolazione svedese e che il 30% dei giovani residenti nei sobborghi non lavora e non studia.
I sobborghi poveri di Stoccolma sarebbero quindi in una condizione gravissima, completamente separati dal centro della città e soggetti a maggiore segregazione.
D'altro canto, però, il portavoce della polizia, Kjell Lindgrean, ha riferito ai media locali che i rivoltosi non sono un gruppo ben definibile, bensi si tratterebbe di un insieme eterogeneo di soggetti (giovanissimi, trentenni, stranieri, svedesi) che sta prendendo al balzo l'occasione per compiere atti di inciviltà e vandalismo.
La mia opinione, per quel che può contare, è che la verità sta nel mezzo: è senza dubbio vero che la Svezia in generale, e Stoccolma in particolare, fa dell'accoglienza, dell'integrazione, dell'efficienza del welfare state, dei servizi il proprio punto di forza. Circa un mese fa ho avuto la fortuna di visitare Stoccolma ed ho potuto toccare con mano lo stato di benessere dei cittadini e l'efficienza delle strutture svedesi.
E' allo stesso modo certo, però, che una parte degli immigrati, specialmente coloro che abitano nei sobborghi poveri, si trovino in una situazione disagiata e difficile, dovuta al fatto di trovarsi in un paese straniero, costretti a confrontarsi con una lingua che non è la loro, e con una grave e perdurante situazione economica a livello europeo (e quindi anche svedese, seppur meno grave che in altre realtà del vecchio continente).
In questi giorni ho sentito molto dibattere sulla posizione da prendere nei confronti dell'immigrazione e dell'integrazione. Anche in questo caso, spesso, sento estremizzazioni: c'è chi ritiene giusto aprire i confini di Stato a tutti, senza limiti né regole. C'è invece chi, al contrario, opterebbe volentieri per bloccare il flusso in ingresso di persone provenienti da Asia e Africa.
Credo che il fenomeno immigrazione sia oggi, e sarà domani, un punto centrale delle politiche e dell'azione dei governi nazionali e internazionali. Se è troppo facile sostenere che molti dei problemi che segnano la vita dei nostri paesi sono dovuti agli immigrati, è altrettanto sbagliato e soprattutto controproducente non mettere barriere, limiti e codici di comportamento all'ingresso di queste minoranze nei nostri confini. Per alcuni stranieri che commettono reati nei nostri paesi, infatti, ce ne sono moltissimi che lavorano, studiano e cercano di integrarsi; e questi ultimi devono godere della possibilità di venire, vivere e crescere nel nostro paese.
La vera sfida dell'Europa nel prossimo futuro ritengo sarà non tanto combattere la crisi economico-finanziaria quanto riuscire a gestire il problema di minoranze (in crescita) non integrate senza sfociare in guerre civili. Si stanno mescolando culture, costumi, religioni, aspettative e bisogni troppo diversi tra loro, senza creare le giuste condizioni perché questo possa avvenire senza scontri e insofferenza.
L'integrazione è un processo molto lungo e difficile che ha inizio soltanto nel momento in cui l'accettazione dei propri doveri è un passo avanti rispetto alla pretesa dei propri diritti.