Prosegue ad Hong Kong la protesta contro Pechino e la legge che nel 2017 permetterebbe al governo centrale di pilotare le elezioni. In migliaia sono scesi in piazza per difendere la propria autonomia e per salvaguardare la democrazia. In agosto, infatti, Pechino ha vietato elezioni democratiche ed ha imposto regole ferree sulla designazione dei candidati, scatenando cosi la reazione, pacifica, degli abitanti della cosiddetta "cassaforte del mondo".
La città conquistata dalla Gran Bretagna nel 1841 durante la Guerra dell'Oppio, e tornata cinese soltanto nel 1997, adesso subisce gli effetti di un clima teso e caotico: la borsa apre e chiude con perdite molto gravi e il dollaro locale precipita ai minimi da sei mesi.
Intanto, l'Occidente si schiera a favore dei manifestanti e contro Pechino. Da una parte c'è la "rivoluzione degli ombrelli", cosi chiamata per i parapioggia utilizzati dalla gente per proteggersi da lacrimogeni e spray urticanti, dall'altra il governo centrale, il quale chiede a Stati Uniti e UE di non interferire.
Non sono più soltanto gli studenti a scendere nelle piazze e nelle strade, con loro anche la maggioranza della società civile: generazioni profondamente diverse, legate però dalla comune indignazione.
La città di Hong Kong ricopre un ruolo strategico fondamentale, non soltanto per l'economia cinese ma per quella del mondo intero. Facile immaginare, quindi, l'importanza della posta in palio.
Adesso, all'Occidente non rimane che aspettare di capire quale delle due parti cederà per prima.